Ieri, 29 giugno 2013, è venuta a mancare l’astrofisica Margherita Hack. Vorremmo ricordarla così, al termine di un’appassionata conferenza. (Pioltello, 19 ottobre 2004)
Riceviamo e pubblichiamo questo ricordo di un nostro amico:
Ciao ragazzi,
da appassionati di astronomia, immagino che anche voi come me siate dispiaciuti per la morte di Margherita Hack, e vi scrivo per dirvi che di recente le avevo inviato questa e-mail che vedete in allegato.
Purtroppo lei non aveva potuto rispondermi, forse per i problemi di salute già compromettenti, o forse per il poco tempo disponibile. Ma vi giro il file, perchè nell’e-mail ero stato felice di citare anche l’Aca, per il bel ricordo che conservo delle osservazioni che avevo fatto con voi.
Ciao e alla prossima.
Maurizio Biffi
E-mail inviata all’indirizzo di Margherita Hack presso l’OATS (Osservatorio Astronomico di Trieste), associato all’INAF (Istituto Nazionale di Astrofisica)
Data: 12 Aprile 2013
Ciao Margherita,
Mi permetto di darti del tu, come se fossi un tuo collega, o come se fossi stato uno studente con cui avevi avuto confidenza ai tempi dell’università. In realtà sono solo un tecnico informatico appassionato di astronomia, e ti scrivo per esprimerti la mia ammirazione, non solo per la tua carriera di astrofisica, per la tua attività di divulgatrice e per il tuo impegno sociale e politico, ma per la tua vita in generale, con tutta la schiettezza, l’ironia e la coerenza con cui l’hai sempre vissuta.
Ho molto apprezzato le tue opere di divulgazione scientifica e le tue autobiografie, e mi sarebbe piaciuto incontrarti di persona per potertelo dire e per stringerti la mano. Ma sono contento di poterlo fare almeno in forma scritta. Io vivo a pochi chilometri dall’Osservatorio Astronomico Brera di Merate, dove tu hai lavorato per dieci anni. Ogni volta che passo vicino all’osservatorio, anche oggi, avverto una forte emozione ma anche un sottile rimpianto, a causa di una serie di circostanze che mi hanno indotto, nel periodo appena successivo all’adolescenza, a scegliere una strada diversa che mi ha allontanato da una possibile carriera di astronomo.
Ma l’astronomia rimane una delle mie più grandi passioni, che non ho mai smesso di coltivare leggendo libri (tra cui molti dei tuoi), collegandomi alla rete di telescopi di SkyLive e dedicandomi all’osservazione strumentale dal balcone di casa o presso l’osservatorio dell’ACA, l’Associazione Cernuschese Astrofili, dove già alcuni anni fa avevo avuto modo di provare, grazie ai preparatissimi amici del gruppo, uno spettrografo per l’analisi della luce stellare e un filtro H-Alfa per l’osservazione del sole, oltre alle camere CCD e alle WebCam che mi hanno permesso, con mia grande soddisfazione, di unire alcuni aspetti della mia professione informatica alla mia passione per l’astronomia.
Adesso che ho deciso di scriverti mi rendo conto che avrei molte domande da farti – e alcune di queste sarebbero le domande di un credente che rispetta il punto di vista di un’atea, con la quale vorrebbe avviare un confronto a cavallo tra scienza e fede, tra visibile e invisibile. Ma non voglio rubarti troppo tempo, e mi limito dunque ad accennarti una questione di altro tipo riguardo un argomento piuttosto dibattuto. Nessuno scienziato dubita ormai dell’esistenza di altre forme di vita intelligente nell’universo. Ma so che tu – come altri tuoi colleghi – ritieni che le probabilità di un contatto siano remote, a causa delle grandi distanze in gioco.
A questo proposito mi è rimasta impressa la frase del tuo collega Paolo Maffei. Si trattava di un paragone che cito ora in modo approssimativo, solo per coglierne il senso: “Rispetto alla distanza che ci separa dalla stella più vicina, lo spazio che l’uomo ha percorso per andare sulla Luna corrisponde ai primi 4 millimetri sulla strada Roma–Genova”. Questa immagine, in un attimo, mi ha dato l’idea dell’immane spazio in cui siamo dispersi; e dato che si riferisce alla stella più vicina, a soli 4 anni-luce da noi, mi fa intuire cosa può significare spingersi ancora più in là, verso le stelle e le galassie più lontane, dove si apre una voragine che mi spaventa e al tempo stesso mi affascina.
Ancora di più mi hanno colpito le implicazioni che le grandi distanze hanno sul tempo, come tu stessa hai avuto modo di spiegare in diverse pubblicazioni. Ogni volta che guardo Sirio – tanto per citare la stella più brillante – mi metto subito a pensare che la sua luce – che in un secondo farebbe più di sette volte il giro della Terra – sta penetrando nel mio occhio dopo aver viaggiato senza mai fermarsi per più di otto anni attraverso il buio dello spazio. E anche in questo caso, si tratta di una delle stelle a noi più vicine, a soli 8 anni-luce di distanza.
Punto allora il binocolo sul fioco bagliore della galassia di Andromeda – un’altra nostra “vicina di casa” – e penso che la sua luce, viaggiando senza mai fermarsi alla velocità costante di 300.000 chilometri al secondo, ha impiegato più di 2 milioni di anni per arrivare fino a me, e io sto quindi osservando quella galassia così com’era più di 2 milioni di anni fa, quando sulla Terra non c’era ancora la nostra specie, ma soltanto gli ominidi da cui si sarebbe evoluta.
E così via, in un gioco di scatole cinesi forse infinito, e con la possibilità che l’universo stesso di cui abbiamo esperienza sia soltanto uno tra gli infiniti universi che potrebbero esistere, e che potrebbero continuamente formarsi in questo stesso momento attraverso altrettanti Big Bang.
Pensando a tutto questo, ho la percezione che di fronte all’universo siamo al pari di microbi sperduti in un mondo senza fine. Ma poi rifletto, e mi rendo conto che i microbi stessi possono superare distanze per loro sconfinate, se sfruttano il mezzo giusto. Mi chiedo allora quali potrebbero essere i mezzi che la specie umana e le altre specie intelligenti nell’universo potrebbero utilizzare. Mezzi e tecnologie non solo tradizionali, ma anche alternativi, in grado forse di sfruttare in maniera differente la natura dello spazio e del tempo. Mi riferisco alle deformazioni spazio-temporali che per noi, al momento, sono solo argomenti da film di fantascienza o speculazioni sulla fisica estrema dei buchi neri.
Volevo dunque chiederti, con un pizzico di provocazione implicita, se la tua opinione è cambiata riguardo queste congetture, considerando che un qualsiasi evento improbabile resta comunque possibile, se moltiplicato per un numero enorme di tentativi (in questo caso tentativi di comunicare o di viaggiare attraverso lo spazio e il tempo). In un universo forse infinito, disse qualcuno, tutto quello che può accadere accadrà, o forse è già accaduto. E anche se il nostro cervello non può comprendere l’infinito – essendo in se stesso fisicamente e forse anche mentalmente limitato -, forse lo vuole e lo può contemplare, come il credente vuole e può contemplare Dio.
Può darsi che la contemplazione avvenga solo nel cervello umano, come avevi affermato in un’intervista. Ma in fondo è proprio lì, nel nostro cervello, che si trova tutto il nostro mondo, ed è lì che si formano sia i pensieri dello scienziato che le riflessioni di ogni uomo. Mi viene a volte da pensare che ciò che tu chiami infinito, e ciò che i credenti chiamano Dio, potrebbe essere la stessa cosa a cui diamo nomi diversi. E mi piace sentirmi come una parte di quell’infinito, una parte che cerca di comprendere il tutto, consapevole che prima o poi tornerà a quel tutto da cui proviene.
Ma per ora mi fermo qui, chiedendoti scusa se mi sono dilungato troppo. Grazie per avermi ascoltato. Ti saluto rinnovandoti la mia grande ammirazione, e augurandoti di continuare ad essere meravigliosamente te stessa, come sei sempre stata, lontana da mode, tendenze e compromessi, e sempre coerente con il tuo pensiero e il tuo modo di essere.
Cieli sereni, Margherita
Maurizio Biffi